DR Automobiles, la 1.0 EV, una piccola tutta elettrica: la “urban revolution” – JUORNO.it

2023-03-15 17:23:26 By : Ms. Lingzi Yang

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Si scrive DR 1.0 EV, si legge “Urban Revolution”. È l’ultima nata nell’azienda molisana DR Automobiles, una piccola full electric.  “In DR, spiegano,  l’abbiamo denominata “Urban Revolution. Riteniamo infatti che la DR 1.0 EV abbia tutte le carte in regola per essere una perfetta alleata soprattutto nelle grandi città ma più in generale nei contesti urbani. Basti pensare che ha 4 comodi posti in appena 3,20 mt. Senza tralasciare l’autonomia: ben 294 km nel ciclo urbano e 210 km in quello misto, con possibilità di extended range in caso di necessità”.

La DR 1.0 EV ha telaio in alluminio ultraleggero con traverse anticollisione ad alta resistenza. È rivestito da un body in materiale composito per un peso complessivo di 1.050 kg. Sospensioni anteriori Mac Pherson indipendenti e posteriori a ruote indipendenti.

Il pacco batterie, che sfrutta la tecnologia ternaria di ultimissima generazione (litio-ferro-fosfato), ha una capacità di 31 Kwh (garanzia di 8 anni).

Motore sincrono a magneti permanenti in grado di sprigionare una potenza di 45 Kw con una coppia di 150 Nm ed una velocità massima di 120 km. La trazione è posteriore.

Accelerazione da 0 a 50 km in 5 secondi.

Ottimi i tempi di ricarica: 4 ore per la slow con corrente a 6 Kwh e 35 minuti per la fast con corrente fino a 40 Kwh.

Esteticamente spiccano la calandra frontale, in perfetto family feeling DR, i cerchi in lega da 15”, i DRL ed i fari posteriori a Led.

In perfetta filosofia DR, la dotazione di serie è ricchissima: climatizzatore, infotainment da 9,7” con Android Auto ed Apple CarPlay, wireless smartphone charger, sistema keyless.

L’abitacolo è caratterizzato da materiali e finiture di pregio. Diversi inserti cromati contribuiscono a conferirgli un look molto POP. Quattro comode sedute ergonomiche rivestite in tessuto con il sedile del guidatore regolabile elettricamente.

I sensori di parcheggio posteriori e la retrocamera in HD facilitano le manovre di parcheggio.

“Lanciamo sul mercato la DR 1.0 EV , spiegano in Azienda, con una promo a scadenza che prevede € 1.000,00 di contributo DR che vanno a sottrarsi ai € 25.900,00 del prezzo di listino. In caso di rottamazione, in virtù dell’incentivo statale, il prezzo finale sarà di € 19.900,00. Con questo posizionamento il prodotto è estremamente competitivo. Full optional di serie e con la massima autonomia tra le più piccole city car full electric, non teme rivali. Senza rottamazione il contributo statale è di € 3.000,00, quindi il prezzo finale sarà di € 21.900,00. È possibile personalizzarla con l’allestimento POP (optional a € 600) in cui spicca il numero 1 sulle fiancate ed un grande punto esclamativo sul cofano.

Con l’arrivo della DR 1.0 EV, la gamma DR spazia ora dal Full Electric fino all’Ecodiesel (2.0 common-rail di ultima generazione già montato dal Pick-up EVO Cross4 e a breve anche dal Pick-up DR K8), passando per il Thermohybrid di DR 3.0, DR 4.0, DR 5.0, DR F35 e DR 6.0.

Una gamma completa insomma, in grado di soddisfare ogni esigenza di mobilità e di incontrare differenti capacità di spesa.

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La paura innescata dal fallimento di Silicon Valley Bank e Signature Bank sembra, almeno per il momento, passata. Le borse sulle due sponde dell’Atlantico avanzano decise con guadagni di oltre il 2% grazie alle banche che ritrovano slancio e un’inflazione americana in linea con le attese. Anche se il panico sembra rientrato, l’attenzione resta comunque alta sullo stato di salute del sistema bancario americano, sorvegliato speciale delle autorità e non solo. Mentre la Fed, la Sec e il Dipartimento di Giustizia indagano sul fallimento di Svb, Moody’s taglia l’outlook per il sistema bancario statunitense da stabile a negativo, e mette sotto osservazione per un possibile downgrade First Republic e altri cinque istituti. Le inchieste avviate dalle autorità americane seguono la valanga di critiche mosse contro il salvataggio dei depositi di Svb e Signature Bank.

E si vanno a sommare alla caccia ai ‘responsabili’ che sta animando la politica americana. Donald Trump punta il dito sulle politiche per la diversità e l’ambiente adottate da Svb e cavallo di battaglia dei democratici. I liberal accusano invece l’ex presidente e la sua deregulation per i fallimenti. Mentre la caccia al colpevole prosegue e le prime azioni legali contro le due banche fallite sono state avviate, i riflettori sono puntati sulla crisi della Silicon Valley, fino a qualche anno fa un ‘underdog’ divenuta ora però ‘too big to fail’, l’etichetta usata per le sue ‘nemiche’ banche di Wall Street. Il fallimento di Svb è infatti considerato l’ennesimo segnale di difficoltà della Silicon Valley, già piegata dai migliaia di licenziamenti annunciati dalle sue big, l’ultima in ordine temporale Meta con altri 10.000 tagli. Una Silicon Valley ricca che, osservano alcuni analisti, non è comunque riuscita a trovare una soluzione per Svb, la cui crisi contribuisce a riportarla con i piedi per terra dopo anni di una crescita sfrenata che sembrava senza fine. La pioggia di critiche non risparmia neanche i fondi Esg – environmental, social and governance – che hanno investito in Silicon Valley Bank, importante finanziatrice di start-up attive nelle energie rinnovabili. Concentrati sull’ambiente, i fondi però si sono mostrati meno attenti sui rischi di governance, ignorandoli completamente, secondo alcuni. Fra le polemiche e nel tutti contro tutti, la Fed appare l’istituzione in maggiore difficoltà.

La banca centrale ha avviato un’indagine sulla supervisione e sui controlli presso Svb, la cui vigilanza – trattandosi di una banca contro 100 miliardi di asset – ricadeva proprio sotto la sua lente. In attesa degli esiti dell’esame, la banca centrale americana si prepara a un test ancora più complicato, quello di cercare un equilibrio fra la lotta all’inflazione e le tensioni sul mercato bancario dovute in parte al rialzo dei tassi di interesse. L’inflazione, pur se in rallentamento al 6% in febbraio dal 6,4% di gennaio, resta ben lontana dal target 2%, indicando come la battaglia della banca centrale contro il caro-vita è ancora lunga. Ma il fallimento di Svb e le tensioni sul sistema bancario hanno messo in evidenza come la sua campagna aggressiva di rialzi del costo del denaro ha delle conseguenze non volute e inattese che rischiano di mettere in pericolo l’economia. In vista della riunione del 21 e 22 marzo, gli analisti sono divisi sulle prossime mosse della Fed. Alcuni ritengono che un’inflazione al 6% – e soprattutto con un aumento dello 0,5% dell’indice core, quello al netto di energia e alimentari – richiede quanto meno un aumento dei tassi dello 0,25%.

Altri sono convinti che alla luce delle tensioni degli ultimi giorni la Fed deciderà di mantenere invariato il costo del denaro. Altri ancora ritengono che, a sorpresa, taglierà i tassi dello 0,25%. Per la Bce la strada sembra più chiara: alla riunione di giovedì un aumento dei tassi sembra scontato, ma i falchi che spingono per un ritocco dello 0,50% si troveranno probabilmente di fronte a una forte opposizione. E’ possibile quindi che alla fine Christine Lagarde opti per un ritocco dello 0,25% confermando così l’impegno alla lotta all’inflazione ma concedendo allo stesso tempo una boccata di ossigeno. Powell alla finestra segue da lontano le decisioni dell’Eurotower per capire la reazione dei mercati e prima di decidere come procedere. (

La Serie A vuole capire cosa fare del suo futuro. Mentre i club approfondiscono le proposte arrivate da nove fondi e grandi colossi bancari internazionali, sullo sfondo resta l’ipotesi di una acquisizione di Sky Italia, ventilata negli ultimi giorni ma non confermata dai massimi dirigenti della Lega dopo l’assemblea di ieri. Una ipotesi per cui “al momento non c’è nulla di concreto”, secondo quanto spiegato dal presidente Lorenzo Casini, anche se le indiscrezioni sull’operazione per la pay-tv di proprietà degli statunitensi di Comcast continuano a filtrare, con ipotesi non solo di acquisto totale della filiale italiana ma anche della scalata al “solo” 51% della società. Un affare attraverso cui la Lega punterebbe a sviluppare, partendo da una infrastruttura già attiva, il proprio canale ma che presenta diversi nodi (dal tema del debito a cosa farne dei contenuti e business extra-calcio oggi gestiti da Sky in Italia) oltre che andrebbe ancora capito quanto attiri l’interesse delle società.

Nelle scorse settimane sono filtrate ipotesi di operazioni straordinarie da parte di Comcast, ma più indirizzate verso l’opzione di una cessione del business di Sky in Germania più che dell’Italia. Ma c’è anche chi sottolinea come potrebbe trattarsi anche solo di una mossa per cercare di mettere pressione sugli altri broadcaster interessati ai diritti tv della Serie A verso l’asta del prossimo triennio. In attesa di eventuali sviluppi, i club valuteranno nelle prossime settimane le proposte arrivate da nove investitori.

“In questo momento le squadre devono valutare prima se farsi affiancare dai fondi o meno, c’è un ragionamento precedente da fare”, ha spiegato l’ad De Siervo dopo l’assemblea di ieri. Le corpose proposte sono arrivate da Searchlight, Apollo, Apollo e Relevent, Barclays, Citi, Goldman Sachs, Jefferies, Jp Morgan e dalla cordata “Love for Football” (formata da Apax, Carlyle e Three Hills), con i club che dovranno valutare le tre diverse tipologie di affari proposti (investimento diretto nella media company, classico finanziamento o una via di mezzo). Prossimo appuntamento il 31 marzo, in una assemblea in cui però anche il tema dell’operazione su Sky potrebbe tornare di attualità.

Doveva essere una rivoluzione copernicana. Si presenta invece come il tentativo di rinfrancare operatori, consumatori e governi e alleggerire le bollette puntando sul mantra delle rinnovabili e, novità dell’ultimo minuto, del tanto discusso nucleare. Dopo quasi dodici mesi di volatilità alle stelle, la sospirata riforma del mercato elettrico del Vecchio Continente vede per la prima volta la luce. E, nel suo disegno, la Commissione europea punta tutto sui contratti a lungo termine, insieme a maggiore chiarezza, responsabilità e potere di scelta a tutela dei consumatori.

Ma, rinfrancata anche da prezzi rientrati entro margini tollerabili, non trova il coraggio di compiere il passo decisivo: il divorzio (in gergo, ‘decoupling’) tra il prezzo del gas e quello dell’elettricità per mesi protagonista della scena Ue. Era il 26 agosto quando il prezzo del gas all’ingrosso in Europa sfondò il record di 340 euro per megawattora e una rivoluzione del mercato elettrico per frenare il potere di contagio delle fonti fossili sull’elettricità sembrava l’unica via possibile almeno per le capitali del Mediterraneo, Roma inclusa, e la Francia, con il sostegno arrivato più tardi anche dalla presidente Ursula von der Leyen. Oggi, con le temperature miti che dovrebbero accompagnare il Continente all’uscita dall’inverno, gli alti livelli di scorte oltre il 50%, i primi acquisti congiunti all’orizzonte e un legame energetico sempre più esile con Mosca, il prezzo sul Ttf di Amsterdam è crollato a 44,2 euro a megawattora e i timori più cupi sembrano ormai alle spalle. Un quadro che ha portato la commissaria Ue per l’Energia, Kadri Simson, a presentare al Parlamento europeo una riforma che tiene quel che di buono hanno i mercati a breve termine integrandoli con quelli di lungo periodo.

Vale a dire: contratti a lungo termine a tariffa fissa (Ppa), disponibili ancora in pochi Stati membri – ma presenti in Italia – per facilitare lo sviluppo delle rinnovabili e arginare la volatilità dei prezzi del gas; garanzie statali per incentivarne l’uso; contratti per differenza – da reindirizzare sui consumatori – che copriranno eolico, solare, geotermico, idroelettrico e nucleare di ultima generazione. Un complemento, quest’ultimo, celebrato dalla Francia – che dall’atomo fa dipendere la produzione dell’80% della sua energia elettrica – destinato ad alimentare il dibattito già rovente a Palazzo Berlaymont sulla possibilità di inserire il nucleare – almeno per i piccoli reattori modulari – tra le fonti su cui puntare nel piano industriale ‘Net-Zero’ che sarà svelato giovedì. Per i cittadini ci saranno informazioni più chiare sui mercati energetici e maggiori possibilità di scelta tra tariffe fisse più sicure a lungo termine e contratti dinamici più rischiosi ma vantaggiosi per chi vuole approfittare delle oscillazioni del mercato per i consumatori. E in caso di crisi, la riforma prevede l’accesso ai prezzi al dettaglio regolamentati per le famiglie e le Pmi. Tutto sommato un “buon passo” per entrambi i consumatori e l’industria rappresentati da Beuc e Business Europe. Per il decoupling ci sarà tempo forse un giorno, ma non in questa legislatura.

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