BOLOGNA. Vent’anni sono una generazione, vent’anni sono passati da quando un giovane calciatore di belle speranze cadde in motorino e andò a sbattere contro un guard rail in manutenzione, dove era stato lasciato un tubo d’acciaio in posizione pericolosa non lontano dal centro tecnico di Casteldebole. Era il 9 febbraio del 2001, quel ragazzo stava tornando a casa dall’allenamento. L’urto gli fu fatale. Non ne aveva ancora 18, non li avrebbe mai compiuti: si chiamava Niccolò Galli, giocava nel Bologna. Pochi mesi prima, tornato in Italia dopo un anno nelle giovanili dell’Arsenal (vincendo sia la Premier che la FA Cup di categoria) , aveva debuttato in A con la maglia rossoblù all’Olimpico, gli ultimi sette minuti contro la Roma che quel giorno vinse 2-0. In quei frangenti gli toccò di fronteggiare quel Batistuta che tanto ammirava e che era stato re a Firenze negli anni in cui il giovane Niccolò militava nelle giovanili viola, dove rimase dal ‘95 al ‘99, prima di scegliere l’Inghilterra e i Gunners. “Voleva capire – confessò anni dopo suo padre, l’ex portiere Giovanni Galli – se tutta quell’attenzione mediatica nei suoi confronti era dovuta al suo talento o al cognome che portava”.
Il dubbio d’essere un privilegiato l’aveva sfiorato, ma in Inghilterra si rese conto definitivamente che la strada per il grande calcio era tracciata. Pareva un predestinato, sarebbe probabilmente diventato un grande difensore centrale, anche se da piccolino molti avrebbero voluto metterlo in porta come il padre, estremo difensore di altissimo livello sbocciato a Firenze, che avrebbe vestito a lungo i colori azzurri e vinto tanto nel primo Milan di Berlusconi. Nel ’93 Giovanni era passato al Torino, Niccolò aveva dieci anni e fu preso nell’allora ancora prestigioso vivaio granata. Ci misero poco a capire che quel bimbo avrebbe potuto farcela. Sei anni dopo sarebbe iniziata, con l’Under 16, la sua trafila azzurra. Fu lì che conobbe un altro talento, Fabio Quagliarella. Diventarono amici in fretta, sognavano di crescere, giocare e divertirsi insieme ma il destino, con Niccolò, è stato atroce.
Quando esordì in A aveva la maglia numero 27, il numero che di lì a poco si prese proprio Quagliarella e dal quale Fabio non s’è mai voluto staccare. Oggi, vent’anni dopo, c’è una fondazione onlus che porta il nome di Niccolò Galli e c’è un centro tecnico, quello del Bologna, che gli è stato dedicato. Un cippo in pietra con inciso il suo nome si trova nel giardino davanti all’ingresso della sede del Bfc, dove quest’oggi, come ogni 9 febbraio, viene commemorato.